Per quelli che hanno effettuato il nostro itinerario non c'e' stato nulla di
eroico: partendo giovedì e arrivando al campo venerdì non abbiamo
avuto nessun genere di difficoltà, strade pulite, tempo clemente,
freddo, freddissimo, ma non insopportabile, e noi, forti di esperienze passate,
eravamo più che attrezzati.
Il nostro Elefantentreffen si è svolto nel migliore dei modi:
a me bastava arrivare a destinazione, era la mia prima volta e passeggiare
qualche attimo nella “fossa” sarebbe stato già un buon
risultato, quanto basta a cucire il gagliardetto di missione sul
giubbotto. A Giorgio arrivare non bastava. Aveva già visto il raduno,
per due volte, ma non aveva mai dormito nella fossa. Questi compagni li aveva scelti proprio per le loro fredde intenzioni di
accamparsi con le tende nella gelida campagna tedesca.
Riccardo aveva da
sempre il desiderio di entrare con la moto nella fossa, cosa che nelle sue tre
precedenti esperienze non si era sentito di fare.
Mauro non so bene cosa volesse fare visto che non lo conoscevo: non era della
nostra città e abitava a
Le
notti in tenda, col ghiaccio e la paglia a farti da giaciglio, l’aria
stessa che ti si rivolta contro al punto da farti trattenere il respiro per
cercare calore nel fiato riscaldato che usciva dai polmoni. Ogni spiffero che entra nel pesante sacco a pelo ti accarezza il viso come un’affilata piuma di
ghiaccio. Il fuoco, forse il tuo solo amico, la tua salvezza, col suo calore ti inebria e ti rapisce, invitandoti a stargli sempre vicino.La carne sulla
brace, l’alcool sulla brace, il rum, le salsicce. Il mangiare ed il bere che rinvigoriscono il corpo e lo spirito,
sempre più segnati dalla lunga notte di ghiaccio. Canti e
brindisi con persone che mai più rivedremo, con
le quali non abbiamo scambiato nessuna parola in nessuna lingua, delle quali
non conosciamo neanche la nazionalità, ma delle quali conserviamo il
ricordo più bello, dopo averlo letto nella scintilla che dai loro occhi
giunge a noi.
Le moto. Le nostre, le
loro, quella moto o quell’altra,
rapite e sofferenti dinnanzi l’impresa più ardua per un mezzo
meccanico che spesso meriterebbe sole e spiagge. Le moto, che con tanta fatica,
dopo tre giorni di parcheggio, vanno cercate e scovate sotto un metro di neve
fresca che le rende tutte identiche.
Queste storie mi
farfuglieranno nella mente per molto tempo e il mio ricordo faticherà ad
essere cancellato. Dire che tutto è stato offuscato
dal viaggio di ritorno è sbagliato. Il viaggio di ritorno ha segnato quest’impresa rendendola unica, nobile. Mesta ma
gloriosa, regalando agli eroi che l’hanno scritta e
vissuta emozioni e coraggio d’altri tempi.
In tre giorni di campo abbiamo
visto cadere quasi mezzo metro di neve; sui campi, sulle nostre tende, sulle nostre moto.
Vedere la grande distesa innevata, con pini bianchi e panorama stile
cartolina natalizia è sempre un piacere, ma ora per noi lo è
ancor di più perché sappiamo che lo stiamo lasciando alle nostre
spalle. Vedere le moto con mezzo metro di neve sopra invece lascia un pò di sgomento, all’inizio. Al primo impatto
pensi “sarà
questa? O magari è quella
laggiù?”. Ma poi sai benissimo qual è la tua, e la guardi,
fissandola e sperando che un momento così possa
ricapitare mille e mille volte altre ancora, provocandoti dolore al pensiero
che tra qualche attimo dovrai liberarla da quella magnifica prigione di
ghiaccio.
E’ l’ultima
immagine che vale la pena di ricordare, perché dei tuoi compagni che
fanno l’estremo bisogno prima di partire proprio
te ne vuoi dimenticare. Forse cercherò di ricordare il campo visto
dall’alto, mentre le tende si afflosciano e i motori si accendono,
lasciando scie di paglia e cenere sulla neve. Mentre gli
ultimi rimasti ammainano le loro bandiere, affisse con orgoglio a tende e
baldacchini.
Purtroppo non
sarà questa l’ultima immagine stampata sulla mia mente.
Appena lasciato il campo, armati di tutti i bagagli e
vestiti di tutto punto, il sottile strato di neve sciolta che lo spazzaneve non
è riuscito a togliere non ci ha dato nessun problema, anzi ha rafforzato
la nostra sicurezza, vedendoci scorazzare liberamente su quella brodaglia
marrone.
Il raduno è oramai alle
nostre spalle, la fossa va rapidamente svuotandosi. Sta
iniziando a nevicare, una piccola bufera imperversa. Superiamo Solla, il
piccolo paese che fa capo al raduno degli elefanti e pensiamo che il pericolo
neve vada scemando, con la strada che non sembra più neanche bagnata.
Come ci si trova in certe situazioni è difficile da dire. Quando
sei lì in mezzo è troppo tardi e non fai in tempo a chiederti
come tu, mezzo milione di chilometri di esperienza
alle spalle, possa esserci finito.
La discesa è
finita e un dosso infingardo ha coperto la vista alla curva successiva. Lunga,
larga, completamente scoperta. Ma tutta bianca, come se
l’avessero scialpata a neve un attimo prima del
nostro passaggio e completamente battuta dal passaggio delle auto. Siamo
troppo veloci. Io, almeno, sento di essere troppo
veloce. Ma rimango tranquillo e freno quanto posso
prima di finire tra i canali scavati dalle auto nel ghiaccio. Mollo i freni e
lascio correre la moto nella superficie nemica. Poso il piede sul freno
posteriore, così delicatamente da non sapere se realmente stavo frenando
o meno. Col piede sinistro, armato di catene da neve,
solco l’asfalto, cercando di rallentare la mia corsa, ma non basta. La velocità non cala di un
chilometro e i quaranta all’ora che starò
facendo, sul ghiaccio, sembrano duecentottanta.
A metà curva
Giorgio, primo della fila, cade e mi si para davanti. La sua moto sembra
occupare tutta la strada e lui striscia alzando la
testa. Lo posso vedere mentre mi guarda e mi chiede di
non investirlo. Non ho idea di cosa fare. L’unica cosa che so, per certo,
è che non riuscirò a fermarmi in tempo. Quando capisco di essere troppo vicino tento di superarlo, è
l’unica cosa da fare per non investirlo, ma appena giro lo sterzo, la
ruota anteriore scivola, intrappolata nel canale e cado anche io.
Il dolore alla caviglia
è immediato. Sento di essere agganciato alla moto, che mi strattona
torcendo in malo modo anche il ginocchio. Per qualche metro, poi mi sgancio e
mi ritrovo gomiti e ginocchia nella neve. Col casco che anch’esso poggia
a terra, spaventato da quel che il dolore stava già annunciando. Batto
qualche pugno a terra facendo schizzare la neve un po’ a destra e manca.
Capisco immediatamente l'entità del danno: la mia diagnosi, malleolo
rotto e stiramento dei legamenti del ginocchio sarà poi confermata.
Non faccio in tempo a rialzarmi che mi trovo circondato da
persone che mi chiedono come sto, in inglese e tedesco. Sono i passeggeri delle
auto e dei furgoni che ci seguivano, prontamente fermatisi a soccorrerci. I
miei compagni di viaggio stanno ancora cercando di uscire dalla neve. Giorgio
sta già tentando di sollevare da terra la sua moto. Io mi alzo ma il dolore mi rimette in ginocchio al primo passo,
mentre mani amiche mi sostengono e mi confortano. Le immagini sono confuse e
concitate. Un furgone giallo, molto grande blocca la strada completamente, per
favorire i soccorsi, un gruppo di ragazzi aiuta Giorgio ad uscire dalla neve,
ma mentre lui se la ride, io non riesco a rialzarmi. Riccardo parcheggia la sua moto. Mi sembra lontanissimo, alla fine di
questa maledetta pista da sci. Per primo mi corre incontro e mi chiede come
sto, ma non capisce la gravità della situazione. Mi chiede di risalire
in moto: sta nevicando troppo ed il rischio di rimanere bloccati sale di minuto
in minuto. Mi prendono sotto braccio e mi issano sulla
moto. Zoppico terribilmente, al punto di non riuscire a poggiare il piede a
terra.
Faccio qualche respiro
e cerco di calmarmi, osservo gli altri che mi guardano e mi studiano per
cercare di capire che farò.
Accendo la moto e provo
a partire, ma cambiare marcia così conciato
è quasi impossibile. Riesco a mettere sino la terza, con un dolore che
ricorderò per molto tempo.
Ogni metro che faccio
capisco che il problema è più grande di me e che ho bisogno di un
ospedale. La strada non corre veloce. Mi sembra di andare al rallentatore, in
quella piccola e desolata strada di campagna. E
mancano ancora mille chilometri a casa.
Da lontano scorgo, in
perfetta pianura un’altra lastra di ghiaccio, più piccola della
prima, ma tanto più grande per il mio coraggio. Iniziano ad uscire le
lacrime. Non ce la faccio a passare, ho paura. Mi
fermo e ho paura. Riccardo mi supera e mi mostra che il passaggio è
semplice. Gli altri rimangono dietro ad aspettare il mio passaggio, sento che
mi spingono e mi incoraggiano. Mi dicono sottovoce
"dai, dai"
Mollo
la frizione lentamente, pensando a quello che potrebbe succedermi se dovessi
nuovamente cadere.
Entro nella lastra di neve ghiacciata. Scopro una leggera pendenza in discesa e
la moto fa tutto da sola. Posso poggiare solo un piede e ho tutti i miei
I
L'arrivo al benzinaio
stabilito, cento metri prima dell'autostrada, è più traumatico
del previsto: il piazzale è tutto ghiacciato e io mi blocco ancora. Non
riesco a muovere il piede che, a botta calda, era meno dolorante e mi permetteva
di mettere qualche marcia. Ora non ho più modo di governare il piede se
non dal ginocchio in su. Non riesco
ad entrare, non voglio entrare. Ho ancora paura.
Attendo qualche attimo, continuo a respirare e cerco di
calmarmi. Voglio scendere. Ho paura che per qualche maldestro motivo la moto
possa sbilanciarsi dal lato sbagliato e possa ancora
martoriarmi il piede. Spero che vengano in mio aiuto e li
cerco alzando lo sguardo. Parcheggiate le moto, si sono avvicinati e mi
stanno chiamando, indicandomi una traiettoria pulita e sicura della quale
riesco a fidarmi e che mi permette di raggiungerli.
Scendo, e aiutato dai
compagni mi siedo sul marciapiede, con la gamba stesa e i 3 ragazzi di fronte
che mi confortano. A questo punto la rabbia e il dolore sono liberi di uscire e
scoppio in un mare di lacrime. Non so che fare. Scegliere di farmi curare qui
chiamando un’ambulanza significa non solo diventare un problema per il
gruppo, ma soprattutto dover lasciare la moto a
Proseguire in queste
condizioni non lo so che significa, non so se le
strade sono pulite, se cadrò di nuovo, se le vibrazioni potrebbero
peggiorare le mie condizioni. E’ una scelta che devo fare da solo, anche
perché sento che i miei compagni non riescono a decidere per me.
Mentre aspettiamo si ferma un ragazzo francese, con la
sua moto enduro, che avevamo "raccolto" qualche chilometro prima del
mio incidente. Parla tedesco, e si offre per fare da interprete con la barista.
Mauro, lasciandoci a bocca aperta, in un quasi perfetto francese, si accorda
con i due,
per farla chiamare, nel caso lo scegliessi, l'ambulanza.
"Non riesco a
cambiare, non riesco a cambiare" sono le poche parole che mi escono quando Riccardo mi interpella per conoscere le mie
condizioni e le mie intenzioni.
Bastano a mettere in
moto il meccanismo che mi porterà a casa.
Mi fanno sedere al
caldo, dentro l’autogrill, mentre le lacrime continuano a sopraffarmi, un
po’ per il dolore, un po’ per la paura della scelta che mi trovo a
fare. Mi portano un'aspirina, un paio di brioche e una red
bull.
Ogni tanto metto la
testa alla finestra e li vedo armeggiare sulla mia moto. Stanno legando un filo
alla leva del cambio per farmi mettere le marce, mi rabboccano l'olio visto che
la mia fazer ne consuma un po’ troppo e mi
fanno benzina, poi rientrano.
"Che vuoi fare?"
”Partiamo”
rispondo io, finché ce la faccio, finché il dolore non
prenderà il sopravvento.
Una volta salito in sella Giorgio mi mette la terza
marcia, cambiando con le mani e mi osserva mentre lascio la frizione per
partire. La moto ce la farà.
Entro in autostrada.
Tre corsie per senso di marcia e pochissimo traffico. Ho tutto lo spazio che mi
serve per tentare la prima cambiata.
La terza marcia della
mia moto arriva a duecentodieci, ma a me centosessanta chilometri
l’ora bastano. Lascio la mano del gas e tirando la frizione impugno il
filo, legato sul serbatoio ai lacci del gaucho. La moto cala
rapidamente. Devo essere rapido a mettere la sesta marcia, per evitare di essere troppo lento in autostrada. Ma non succede e una
volta inserita la marcia giusta mi rimetto in assetto
e cerco la migliore posa per la gamba. E' incredibile, non mi fa più
male, a meno che non tenti di muoverla o spostarla,
casi in cui il dolore è ben più lancinante degli attimi scorsi. Ma mi sento bene e sento che ce la posso fare. Alzo il
pollice agli altri, gli faccio capire che il morale è alto. Riccardo mi
segnala che la media sarà di
I primi cinquanta chilometri corrono perfettamente, sento
che va tutto bene. Continuo a piangere, ma l’importante è che il
piede stia comodo e non faccia male. Il calore prodotto dalle lacrime è
eccessivo e se non smetto di versarne, tra un po’ non vedrò
più nulla. La visiera si appanna nonostante la doppia membrana. Sono
triste, e non so se ce la farò. Tra i miei pensieri corre anche
l’idea di abbandonare tutto, moto, sogni, speranze. Sono sempre più
deciso, ogni chilometro che passa.
Scorgo, oltre la nebbia che si è formata
all'interno della visiera, delle moto in lontananza. La lunga
e semi deserta autostrada tedesca scopre una fila di moto, lente ed
ancora molto lontane. Le guardo con attenzione, cerco di spostare su di loro la
mia attenzione, in modo da dimenticare per un istante la sensazione di dolore
che mi porto dietro già da qualche ora.
Una volta raggiunte
riconosco la prima, e strabuzzo gli occhi con un sorriso di cui avevo proprio
bisogno. Ha due sci verticali fissati al portapacchi. E’ il francese che mi ha aiutato
al benzinaio. Riccardo, davanti a me, lo riconosce subito (impossibile non
notare i due sci giallo fosforescente) e lo saluta,
poi tocca a me. Lo affianco e lo saluto lasciando la mano dall'acceleratore,
sbracciando come farebbe un bambino. Dapprima il suo saluto è motociclisticamente corretto, ma poi mi riconosce e vedo
che anche lui strabuzza gli occhi: come impazzito inizia a muoversi
irregolarmente sulla moto, saltando e contorcendosi per incitarmi e darmi
coraggio (io l'ho interpretato così), poi conclude
il saluto con il pollice alto, ed io caricato dal suo gesto chiudo la mano,
intenta a salutarlo, e a pugno chiuso gli faccio capire che terrò duro,
poi anche io alzo il pollice, rimetto la mano sul gas e do di acceleratore.
Probabilmente non lo vedrò mai più.
Proseguiamo rapidi e veloci fino a
Innsbruk, sostando solo per fare benzina. Oramai non
ho più lacrime da versare ed anche il fioretto di vendere tutto e
ritirarmi non appena arrivo a casa diventa un lascivo ricordo.
Quattro chilometri prima dell’uscita per la
città c'e' un'area di sosta e ci fermiamo. Mi
fanno scendere e mi siedono su una panchina. Riccardo mi offre un toscanello, Mauro una brioche. Mentre
mangio e fumo compiaciuto, si mettono a confabulare sul da farsi. Sono
le 17 e tra le montagne la notte è già arrivata, arrivare a Trento significa prendere un sacco di freddo. Il
mio incidente ha tardato il programma del ritorno di due ore. Passare il Brennero senza l’aiuto del giorno sarà dura,
ma una volta raggiunto Trento la strada sarà in discesa.
Con la mappa del
palmare e col gps calcolano i tempi di arrivo: all'una siamo a casa. Si voltano verso di me:
"Che facciamo?"
"Io voglio un
ospedale. Se ci fermiamo mi lasciate lì e
cercate un albergo. Ma sono più contento di
andare a casa. "
Ok, si va a casa. Penso che se dovessi cedere potrei comunque cercare un ospedale lungo la strada del ritorno,
mal che vada, almeno riesco ad entrare in Italia.
Il dolore è
minimo, forse anestetizzato dal freddo pungente, ed ho scoperto che la moto
parte benissimo anche in sesta marcia, quindi nei caselli e negli autogrill
riesco a fermarmi e ripartire senza l’aiuto degli altri e senza dover
usare machiavellici sistemi per togliere e metter marce, allontanando
definitivamente ogni rischio di sbilanciare la moto e di finire a terra sfracellandomi.
A Trento salutiamo
Mauro che prosegue per la sua città, Alessandria. Un rapido saluto, una
stretta di mano e un grazie che avrà valore per
sempre.
Il freddo non c’e’ più, la
differenza di temperatura col Brennero ci illude.
E’ quasi caldo ora. Anche
il freddo è diventato un ricordo. Ora l’ultimo nemico da battere
è la stanchezza. Siamo in moto da troppo tempo, dopo tre giorni di
campeggio sulla neve, con un ferito “a bordo” ed una meta ancora
lontana. Aumentiamo il numero delle soste.
Grazie
ai miei compagni non scendo più dalla moto. Mi comperano da mangiare e da bere, e Riccardo mi allunga
qualche toscanello, che allevia le mie attese, da
solo, nei parcheggi degli autogrill, mentre osservo i viaggiatori nel loro tram
tram quotidiano. Loro non conoscono l’impresa
che stiamo portando a termine.
Ad ogni sosta tre rustichelle,
tre red bull e tre caffè. Mi tengono il morale alto fino alla meta.
L’arrivo ad
Ancona alle 01.30 della notte, dopo un viaggio di dodici ore con una gamba
rotta, è una liberazione, una vera gioia. Con la mamma
che attende alle porte del garage e con Riccardo che mi aiuta a scendere e mi
parcheggia la moto.
I saluti sono brevi,
quasi inesistenti. Sono troppo stanco, e con del ghiaccio sulla caviglia, che
sotto lo stivale è gonfia come una noce di cocco, vado
a letto.
La mia storia finisce
qui, con i ringraziamenti ai compagni di viaggio e con la notizia, il giorno
successivo al pronto soccorso, dei 35 gg di gesso per
il malleolo fratturato.
Però sono contento, sfigato, ma
contento. Avrò qualcosa da raccontare...
ciao ciao
Federico
La
nostra avventura inizia al primo autogrill dopo Senigallia
Sono
Bardato a dovere…. Non temo il freddo…
Col
telaio della givi il gs
sembra largo come un’auto….
Il
cordone ombelicale di Riccardo (st2), guanti, ginocchia calzetti
e maglia elettrici… da rimanere fulminato…
A trento ci incontriamo con Mauro (casagregory).
La temperatura cala, nessun problema
Autogrill
lungo il Brennero… la mia moto è proprio
stracarica. Per metterla sul centrale ci vogliono 2 persone…
Benzinaio
a Rosenheim,
L’albergo
ha un parcheggio per le moto nel retro… peccato che per arrivarci
dobbiamo affrontare per la prima volta la neve. Nessun problema.
Ecco
un ristorantino tipico… il mal di pancia del
giorno dopo… è un’altra storia
Veduta
dall’albergo la sera, prima che nevicasse
E
la mattina seguente. Fortunatamente lo spazzaneve si è svegliato prima
di noi…
La
colazione
…
e la sorpresa. Lo spazzaneve non è arrivato a pulire
davanti al nostro garage… ma la neve è
fresca e non battuta. Passiamo indenni.
Il
primo cartello indicante “Pasau” trae in
inganno il navigatore e mentre gli altri riflettono io faccio
qualche foto.
La
strada è comunque giusta e il navigatore
(st2) procede. Mi prende freddo per
fare le foto…
Dopo
Inizia
il giro della magica boccia col southern confort
Siamo
vicini e si cominciano ad incontrare altre moto… questi sono ben
attrezzati, ma hanno così freddo che non si sono tolti neanche il casco
In
questo fondamentale scatto mi si nota infilare abusivamente le mani nelle
manopole riscaldate del gs…
L’ultimo rifornimento prima di arrivare al campo
Parcheggiamo
le moto e ci attrezziamo per trasportare la nostra roba. Ancora non
c’e’ traccia di neve (per la strada)
A
questo punto la mia fazer avrebbe proprio bisogno di
una doccia di acqua dolce…
Riccardo,
con le catene “no problem” da lui
modificate entra nella fossa
Il
campo è fatto, con un po
di ritardo… si mangia!
Un
austriaco di passaggio ci intrattiene un paio di ore.
Noi gli diamo da mangiare e lui ci offre il suo rum da
80 gradi…
…
servito con lo zucchero e con il vino… una specie di vin brulè senza spezie, e l rum buttato sul
fuoco fa parecchi “flambè”
i
Abbiamo
trovato solo 1 balla di paglia e visto che gli altri hanno tutti
le sdraiette me la becco io
Foto
di rito per Riccardo (st2)
Andiamo
a trovare le moto. Non nevica, ma il vento che muove la foresta da un’ifarinata ai nostri mezzi.
La
mattina ci svegliamo e le tende sembrano degli igloo.
La
nostra roba è tutta sommersa e far prendere il fuoco è impresa
ardua, anche con mezzo pacco di diavolina e quando il fuoco è acceso
iniziamo a scongelare il latte…
La
moto di riccardo, l’unica nella fossa ha subito
l’attacco del maltempo…
Partiamo
per il tradizionale giro turistico della fossa ed immortaliamo le stranezze che
il raduno ci offre
Poi
andiamo nuovamente a trovare le moto… l’infarinata è ora un
impasto completo
Ma
a noi non interessa, (avevamo i teli per coprirle ma nella
fretta ci siamo dimenticati di metterli…) e ricominciamo a mangiare
Nel
pomeriggio la bufera ci bagna parecchio e ci fa temere per il ritorno, ci tocca
pulire le tende in più di un’occasione..
I
nudi sono un classico… ma io non lo
sapevo…
Anche sabato pomeriggio la bufera non ci lascia soli un attimo e ci
organizziamo alla meglio per continuare l’esperienza….
In
tarda serata andiamo a trovare le moto, per capire a cosa andremo incontro il gg successivo della partenza…
Anche
per me e riccardo (gs) la
foto di rito
Tarallucci
per tutti. Sarà un giorno impegnativo e servirà energia
Mi
faccio una foto su quella che è stata la mia
alcova per 2 gg e poi aiuto a smontare il campo
Mauro
fa la spola con tutti i bagagli. il suo gs, con le catene, sembra inarrestabile,
ma dopo 4 volte che fa avanti e indietro dalla fossa alle nostre
moto è a pezzi
Anche riccardo parte con la sua moto, ma
lo fa per uscire. Le sue catene non sono tecniche come quelle di Mauro, ma
riesce ugualmente ad uscire
Foto
di rito
Un
saluto a Solla mentre attendiamo che i gs smontino le catene
Tra
L’ultima
foto, al benzinaio… con il malleolo fratturato…
No
comment… ospedale di torrette, ancona…
L'organizzazione, grazie
all'esperienza di Riccardo è stata perfetta, ecco quello che ci siamo
portati.
Io avevo:
BAULETTO
Marsupio con chiavi e portafogli
Catene per gomma posteriore (imbustate)
Corda per gomma anteriore
Catene per scarpe
Pentola brulè (legata fuori)
Pentolino personale (legato fuori)
Telo per coprire moto quando parcheggiata
Olio motore
Guanti danese vecchi
Sottoguanti seta
Copristivali gomma
Bombola crc per ungere moto
Antipioggia (su zaino sopra)
Catena per legare moto (su zaino sopra)
Fast riparagomme
Zaino per giovedì sera in albergo
(jeans, t-shirt, felpa, asciugamano, saponetta, phon
piccolo se lo trovo)
BORSA 1
Bicchieri plastica
Caffè sport
Grappa
Visner
Gran marnier x 2
Zucchero
Olio
Sale fino
Sacco a pelo
BORSA 2 (solo questa pesava più di
Carne (40 Salsicce, 4 pacchi di fettine già
tagliate, 4 pacchi di fusi di ala di pollo)
Spezie miste con macinino
Cannella per brulè
Chiodi di garofano per brulè
ZAINO SELLA PASSEGGERO
Materassino
Sacco a pelo nuovo
Copertina in pile
Salopet
Moonboot
Calzetti e mutande ricambio
Sottotuta dainese (maglia e
pantalone)
Cappello pelo e cappello burton
Torcia da testa
Torcia energizeer
Biscotti
Merendine dolci
Cioccolato kinder
Pentola brulè
Pentolino personale
Pentolino latte
Mestolo
Coltello personale (per “beccare” dal fuoco)
Pinze per carne
Nelle altre moto oltre alle cose personali c'erano:
2 Tende
3 lettini pieghevoli
2 latte di acqua da
la griglia col treppiedi
moka, latte e caffè
6 filette di pane
teli vari (per trasporto legna e balle di paglia)
piccola stufa a gas c/bombole di ricambio
Cavi batteria
Bottiglie di acqua varie
Pala da neve smontabile
2 pacchi di diavolina
Vov
ponch al cioccolato