Per quelli che hanno effettuato il nostro itinerario non c'e' stato nulla di eroico: partendo giovedì e arrivando al campo venerdì non abbiamo avuto nessun genere di difficoltà, strade pulite, tempo clemente, freddo, freddissimo, ma non insopportabile, e noi, forti di esperienze passate, eravamo più che attrezzati.

Il nostro Elefantentreffen si è svolto nel migliore dei modi: a me bastava arrivare a destinazione, era la mia prima volta e passeggiare qualche attimo nella “fossa” sarebbe stato già un buon risultato, quanto basta a cucire  il gagliardetto di missione sul giubbotto. A Giorgio arrivare non bastava. Aveva già visto il raduno, per due volte, ma non aveva mai dormito nella fossa. Questi compagni li aveva scelti proprio per le loro fredde intenzioni di accamparsi con le tende nella gelida campagna tedesca.

Riccardo aveva da sempre il desiderio di entrare con la moto nella fossa, cosa che nelle sue tre precedenti esperienze non si era sentito di fare.

Mauro non so bene cosa volesse fare visto che non lo conoscevo: non era della nostra città e abitava a 500 km da casa nostra. Alla fine ha fatto tutto quel che c’era da fare e secondo me, è tornato a casa soddisfatto.

Le notti in tenda, col ghiaccio e la paglia a farti da giaciglio, l’aria stessa che ti si rivolta contro al punto da farti trattenere il respiro per cercare calore nel fiato riscaldato che usciva dai polmoni. Ogni spiffero che entra nel pesante sacco a pelo ti accarezza il viso come un’affilata piuma di ghiaccio. Il fuoco, forse il tuo solo amico, la tua salvezza, col suo calore ti inebria e ti rapisce, invitandoti a stargli sempre vicino.La carne sulla brace, l’alcool sulla brace, il rum, le salsicce. Il mangiare ed il bere che rinvigoriscono il corpo e lo spirito, sempre più segnati dalla lunga notte di ghiaccio. Canti e brindisi con persone che mai più rivedremo, con le quali non abbiamo scambiato nessuna parola in nessuna lingua, delle quali non conosciamo neanche la nazionalità, ma delle quali conserviamo il ricordo più bello, dopo averlo letto nella scintilla che dai loro occhi giunge a noi.

Le moto. Le nostre, le loro, quella moto o quell’altra, rapite e sofferenti dinnanzi l’impresa più ardua per un mezzo meccanico che spesso meriterebbe sole e spiagge. Le moto, che con tanta fatica, dopo tre giorni di parcheggio, vanno cercate e scovate sotto un metro di neve fresca che le rende tutte identiche.

Queste storie mi farfuglieranno nella mente per molto tempo e il mio ricordo faticherà ad essere cancellato. Dire che tutto è stato offuscato dal viaggio di ritorno è sbagliato. Il viaggio di ritorno ha segnato quest’impresa rendendola unica, nobile. Mesta ma gloriosa, regalando agli eroi che l’hanno scritta e vissuta emozioni e coraggio d’altri tempi.

In tre giorni di campo abbiamo visto cadere quasi mezzo metro di neve; sui campi, sulle nostre tende, sulle nostre moto.

Vedere la grande distesa innevata, con pini bianchi e panorama stile cartolina natalizia è sempre un piacere, ma ora per noi lo è ancor di più perché sappiamo che lo stiamo lasciando alle nostre spalle. Vedere le moto con mezzo metro di neve sopra invece lascia un di sgomento, all’inizio. Al primo impatto pensi  “sarà questa? O magari è quella laggiù?”. Ma poi sai benissimo qual è la tua, e la guardi, fissandola e sperando che un momento così possa ricapitare mille e mille volte altre ancora, provocandoti dolore al pensiero che tra qualche attimo dovrai liberarla da quella magnifica prigione di ghiaccio.

E’ l’ultima immagine che vale la pena di ricordare, perché dei tuoi compagni che fanno l’estremo bisogno prima di partire proprio te ne vuoi dimenticare. Forse cercherò di ricordare il campo visto dall’alto, mentre le tende si afflosciano e i motori si accendono, lasciando scie di paglia e cenere sulla neve. Mentre gli ultimi rimasti ammainano le loro bandiere, affisse con orgoglio a tende e baldacchini.

Purtroppo non sarà questa l’ultima immagine stampata sulla mia mente.

Appena lasciato il campo, armati di tutti i bagagli e vestiti di tutto punto, il sottile strato di neve sciolta che lo spazzaneve non è riuscito a togliere non ci ha dato nessun problema, anzi ha rafforzato la nostra sicurezza, vedendoci scorazzare liberamente su quella brodaglia marrone.

Il raduno è oramai alle nostre spalle, la fossa va rapidamente svuotandosi. Sta iniziando a nevicare, una piccola bufera imperversa. Superiamo Solla, il piccolo paese che fa capo al raduno degli elefanti e pensiamo che il pericolo neve vada scemando, con la strada che non sembra più neanche bagnata.

Come ci si trova in certe situazioni è difficile da dire. Quando sei lì in mezzo è troppo tardi e non fai in tempo a chiederti come tu, mezzo milione di chilometri di esperienza alle spalle, possa esserci finito.

La discesa è finita e un dosso infingardo ha coperto la vista alla curva successiva. Lunga, larga, completamente scoperta. Ma tutta bianca, come se l’avessero scialpata a neve un attimo prima del nostro passaggio e completamente battuta dal passaggio delle auto. Siamo troppo veloci. Io, almeno, sento di essere troppo veloce. Ma rimango tranquillo e freno quanto posso prima di finire tra i canali scavati dalle auto nel ghiaccio. Mollo i freni e lascio correre la moto nella superficie nemica. Poso il piede sul freno posteriore, così delicatamente da non sapere se realmente stavo frenando o meno. Col piede sinistro, armato di catene da neve, solco l’asfalto, cercando di rallentare la mia corsa, ma non basta.  La velocità non cala di un chilometro e i quaranta all’ora che starò facendo, sul ghiaccio, sembrano duecentottanta.

A metà curva Giorgio, primo della fila, cade e mi si para davanti. La sua moto sembra occupare tutta la strada e lui striscia alzando la testa. Lo posso vedere mentre mi guarda e mi chiede di non investirlo. Non ho idea di cosa fare. L’unica cosa che so, per certo, è che non riuscirò a fermarmi in tempo. Quando capisco di essere troppo vicino tento di superarlo, è l’unica cosa da fare per non investirlo, ma appena giro lo sterzo, la ruota anteriore scivola, intrappolata nel canale e cado anche io.

Il dolore alla caviglia è immediato. Sento di essere agganciato alla moto, che mi strattona torcendo in malo modo anche il ginocchio. Per qualche metro, poi mi sgancio e mi ritrovo gomiti e ginocchia nella neve. Col casco che anch’esso poggia a terra, spaventato da quel che il dolore stava già annunciando. Batto qualche pugno a terra facendo schizzare la neve un po’ a destra e manca. Capisco immediatamente l'entità del danno: la mia diagnosi, malleolo rotto e stiramento dei legamenti del ginocchio sarà poi confermata.
Non faccio in tempo a rialzarmi che mi trovo circondato da persone che mi chiedono come sto, in inglese e tedesco. Sono i passeggeri delle auto e dei furgoni che ci seguivano, prontamente fermatisi a soccorrerci. I miei compagni di viaggio stanno ancora cercando di uscire dalla neve. Giorgio sta già tentando di sollevare da terra la sua moto. Io mi alzo ma il dolore mi rimette in ginocchio al primo passo, mentre mani amiche mi sostengono e mi confortano. Le immagini sono confuse e concitate. Un furgone giallo, molto grande blocca la strada completamente, per favorire i soccorsi, un gruppo di ragazzi aiuta Giorgio ad uscire dalla neve, ma mentre lui se la ride, io non riesco a rialzarmi. Riccardo parcheggia la sua moto. Mi sembra lontanissimo, alla fine di questa maledetta pista da sci. Per primo mi corre incontro e mi chiede come sto, ma non capisce la gravità della situazione. Mi chiede di risalire in moto: sta nevicando troppo ed il rischio di rimanere bloccati sale di minuto in minuto. Mi prendono sotto braccio e mi issano sulla moto. Zoppico terribilmente, al punto di non riuscire a poggiare il piede a terra.

Faccio qualche respiro e cerco di calmarmi, osservo gli altri che mi guardano e mi studiano per cercare di capire che farò.

Accendo la moto e provo a partire, ma cambiare marcia così conciato è quasi impossibile. Riesco a mettere sino la terza, con un dolore che ricorderò per molto tempo.

Ogni metro che faccio capisco che il problema è più grande di me e che ho bisogno di un ospedale. La strada non corre veloce. Mi sembra di andare al rallentatore, in quella piccola e desolata strada di campagna. E mancano ancora mille chilometri a casa.

Da lontano scorgo, in perfetta pianura un’altra lastra di ghiaccio, più piccola della prima, ma tanto più grande per il mio coraggio. Iniziano ad uscire le lacrime. Non ce la faccio a passare, ho paura. Mi fermo e ho paura. Riccardo mi supera e mi mostra che il passaggio è semplice. Gli altri rimangono dietro ad aspettare il mio passaggio, sento che mi spingono e mi incoraggiano. Mi dicono sottovoce "dai, dai"

Mollo la frizione lentamente, pensando a quello che potrebbe succedermi se dovessi nuovamente cadere. Entro nella lastra di neve ghiacciata. Scopro una leggera pendenza in discesa e la moto fa tutto da sola. Posso poggiare solo un piede e ho tutti i miei 100 kg su di lui, ad arare l'asfalto nel tentativo di rallentare la moto. Faccio 1 o 2 km/h, ma mi sembra di volare, ed una volta fuori mi accorgo che le lacrime non si sono mai fermate. Non riesco a sollevarmi per questo pericolo scampato, perché non so quanti ancora dovrò passarne.

I 15 km che ci separano dall'autostrada sono un calvario. Vedo macchie sull'asfalto ad ogni dove e rallento in continuazione. Ogni traccia di neve sul mio cammino mi ferma, mi terrorizza ed aiuta le mie lacrime ad uscire con più veemenza. Ogni tanto Riccardo mi si para davanti, dando grandi accelerate  per mostrarmi che nonostante sia un po’ sporca, la strada tiene alla grande. Mi da il coraggio per proseguire, per fare qualche altro chilometro.

L'arrivo al benzinaio stabilito, cento metri prima dell'autostrada, è più traumatico del previsto: il piazzale è tutto ghiacciato e io mi blocco ancora. Non riesco a muovere il piede che, a botta calda, era meno dolorante e mi permetteva di mettere qualche marcia. Ora non ho più modo di governare il piede se non dal ginocchio in su. Non riesco ad entrare, non voglio entrare. Ho ancora paura.
Attendo qualche attimo, continuo a respirare e cerco di calmarmi. Voglio scendere. Ho paura che per qualche maldestro motivo la moto possa sbilanciarsi dal lato sbagliato e possa ancora martoriarmi il piede. Spero che vengano in mio aiuto e li cerco alzando lo sguardo. Parcheggiate le moto, si sono avvicinati e mi stanno chiamando, indicandomi una traiettoria pulita e sicura della quale riesco a fidarmi e che mi permette di raggiungerli.

Scendo, e aiutato dai compagni mi siedo sul marciapiede, con la gamba stesa e i 3 ragazzi di fronte che mi confortano. A questo punto la rabbia e il dolore sono liberi di uscire e scoppio in un mare di lacrime. Non so che fare. Scegliere di farmi curare qui chiamando un’ambulanza significa non solo diventare un problema per il gruppo, ma soprattutto dover lasciare la moto a 1000 km da casa per chissà quando poter tornare a prenderla.

Proseguire in queste condizioni non lo so che significa, non so se le strade sono pulite, se cadrò di nuovo, se le vibrazioni potrebbero peggiorare le mie condizioni. E’ una scelta che devo fare da solo, anche perché sento che i miei compagni  non riescono a decidere per me.

Mentre aspettiamo si ferma un ragazzo francese, con la sua moto enduro, che avevamo "raccolto" qualche chilometro prima del mio incidente. Parla tedesco, e si offre per fare da interprete con la barista. Mauro, lasciandoci a bocca aperta, in un quasi perfetto francese, si accorda con  i due, per farla chiamare, nel caso lo scegliessi, l'ambulanza.

"Non riesco a cambiare, non riesco a cambiare" sono le poche parole che mi escono quando Riccardo mi interpella per conoscere le mie condizioni e le mie intenzioni.

Bastano a mettere in moto il meccanismo che mi porterà a casa.

Mi fanno sedere al caldo, dentro l’autogrill, mentre le lacrime continuano a sopraffarmi, un po’ per il dolore, un po’ per la paura della scelta che mi trovo a fare. Mi portano un'aspirina, un paio di brioche e una red bull.

Ogni tanto metto la testa alla finestra e li vedo armeggiare sulla mia moto. Stanno legando un filo alla leva del cambio per farmi mettere le marce, mi rabboccano l'olio visto che la mia fazer ne consuma un po’ troppo e mi fanno benzina, poi rientrano.

"Che vuoi fare?"

Partiamo” rispondo io, finché ce la faccio, finché il dolore non prenderà il sopravvento.
Una volta salito in sella Giorgio mi mette la terza marcia, cambiando con le mani e mi osserva mentre lascio la frizione per partire. La moto ce la farà.

Entro in autostrada. Tre corsie per senso di marcia e pochissimo traffico. Ho tutto lo spazio che mi serve per tentare la prima cambiata.

La terza marcia della mia moto arriva a duecentodieci, ma a me  centosessanta chilometri l’ora bastano. Lascio la mano del gas e tirando la frizione impugno il filo, legato sul serbatoio ai lacci del gaucho. La moto cala rapidamente. Devo essere rapido a mettere la sesta marcia, per evitare di essere troppo lento in autostrada. Ma non succede e una volta inserita la marcia giusta mi rimetto in assetto e cerco la migliore posa per la gamba. E' incredibile, non mi fa più male, a meno che non tenti di muoverla o spostarla, casi in cui il dolore è ben più lancinante degli attimi scorsi. Ma mi sento bene e sento che ce la posso fare. Alzo il pollice agli altri, gli faccio capire che il morale è alto. Riccardo mi segnala che la media sarà di 130 km/h. Faccio cenno che va bene, ma vorrei che fosse tanto più alta. Penso solo "portatemi a casa al più presto".
I primi cinquanta chilometri corrono perfettamente, sento che va tutto bene. Continuo a piangere, ma l’importante è che il piede stia comodo e non faccia male. Il calore prodotto dalle lacrime è eccessivo e se non smetto di versarne, tra un po’ non vedrò più nulla. La visiera si appanna nonostante la doppia membrana. Sono triste, e non so se ce la farò. Tra i miei pensieri corre anche l’idea di abbandonare tutto, moto, sogni, speranze. Sono sempre più deciso, ogni chilometro che passa.
Scorgo, oltre la nebbia che si è formata all'interno della visiera, delle moto in lontananza. La lunga e semi deserta autostrada tedesca scopre una fila di moto, lente ed ancora molto lontane. Le guardo con attenzione, cerco di spostare su di loro la mia attenzione, in modo da dimenticare per un istante la sensazione di dolore che mi porto dietro già da qualche ora.

Una volta raggiunte riconosco la prima, e strabuzzo gli occhi con un sorriso di cui avevo proprio bisogno. Ha due sci verticali fissati al portapacchi.  E’ il francese che mi ha aiutato al benzinaio. Riccardo, davanti a me, lo riconosce subito (impossibile non notare i due sci giallo fosforescente) e lo saluta, poi tocca a me. Lo affianco e lo saluto lasciando la mano dall'acceleratore, sbracciando come farebbe un bambino. Dapprima il suo saluto è motociclisticamente corretto, ma poi mi riconosce e vedo che anche lui strabuzza gli occhi: come impazzito inizia a muoversi irregolarmente sulla moto, saltando e contorcendosi per incitarmi e darmi coraggio (io l'ho interpretato così), poi conclude il saluto con il pollice alto, ed io caricato dal suo gesto chiudo la mano, intenta a salutarlo, e a pugno chiuso gli faccio capire che terrò duro, poi anche io alzo il pollice, rimetto la mano sul gas e do di acceleratore. Probabilmente non lo vedrò mai più.
Proseguiamo rapidi e veloci fino a Innsbruk, sostando solo per fare benzina. Oramai non ho più lacrime da versare ed anche il fioretto di vendere tutto e ritirarmi non appena arrivo a casa diventa un lascivo ricordo.
Quattro chilometri prima dell’uscita per la città c'e' un'area di sosta e ci fermiamo. Mi fanno scendere e mi siedono su una panchina. Riccardo mi offre un toscanello, Mauro una brioche. Mentre mangio e fumo compiaciuto, si mettono a confabulare sul da farsi. Sono le 17 e tra le montagne la notte è già arrivata, arrivare a Trento significa prendere un sacco di freddo. Il mio incidente ha tardato il programma del ritorno di due ore. Passare il Brennero senza l’aiuto del giorno sarà dura, ma una volta raggiunto Trento la strada sarà in discesa.

Con la mappa del palmare e col gps calcolano i tempi di arrivo: all'una siamo a casa. Si voltano verso di me: "Che facciamo?"

"Io voglio un ospedale. Se ci fermiamo mi lasciate lì e cercate un albergo. Ma sono più contento di andare a casa. "

Ok, si va a casa. Penso che se dovessi cedere potrei comunque cercare un ospedale lungo la strada del ritorno, mal che vada, almeno riesco ad entrare in Italia.

Il dolore è minimo, forse anestetizzato dal freddo pungente, ed ho scoperto che la moto parte benissimo anche in sesta marcia, quindi nei caselli e negli autogrill riesco a fermarmi e ripartire senza l’aiuto degli altri e senza dover usare machiavellici sistemi per togliere e metter marce, allontanando definitivamente ogni rischio di sbilanciare la moto e di finire a terra  sfracellandomi.

A Trento salutiamo Mauro che prosegue per la sua città, Alessandria. Un rapido saluto, una stretta di mano e un grazie che avrà valore per sempre.

Il freddo non c’e’ più, la differenza di temperatura col Brennero ci illude. E’ quasi caldo ora. Anche il freddo è diventato un ricordo. Ora l’ultimo nemico da battere è la stanchezza. Siamo in moto da troppo tempo, dopo tre giorni di campeggio sulla neve, con un ferito “a bordo” ed una meta ancora lontana. Aumentiamo il numero delle soste.

 Grazie ai miei compagni non scendo più dalla moto. Mi comperano da mangiare e da bere, e Riccardo mi allunga qualche toscanello, che allevia le mie attese, da solo, nei parcheggi degli autogrill, mentre osservo i viaggiatori nel loro tram tram quotidiano. Loro non conoscono l’impresa che stiamo portando a termine.
Ad ogni sosta tre rustichelle, tre red bull e tre caffè. Mi tengono il morale alto fino alla meta.

L’arrivo ad Ancona alle 01.30 della notte, dopo un viaggio di dodici ore con una gamba rotta, è una liberazione, una vera gioia. Con la mamma che attende alle porte del garage e con Riccardo che mi aiuta a scendere e mi parcheggia la moto.

I saluti sono brevi, quasi inesistenti. Sono troppo stanco, e con del ghiaccio sulla caviglia, che sotto lo stivale è gonfia come una noce di cocco, vado a letto.

La mia storia finisce qui, con i ringraziamenti ai compagni di viaggio e con la notizia, il giorno successivo al pronto soccorso, dei 35 gg di gesso per il malleolo fratturato.
Però sono contento, sfigato, ma contento. Avrò qualcosa da raccontare...
ciao ciao
Federico

 

La nostra avventura inizia al primo autogrill dopo Senigallia

Sono Bardato a dovere…. Non temo il freddo…

 

Col telaio della givi il gs sembra largo come un’auto….

Il cordone ombelicale di Riccardo (st2), guanti, ginocchia calzetti e maglia elettrici… da rimanere fulminato…

 

 A trento ci incontriamo con Mauro (casagregory). La temperatura cala, nessun problema

 

Autogrill lungo il Brennero… la mia moto è proprio stracarica. Per metterla sul centrale ci vogliono 2 persone…

Benzinaio a Rosenheim, 220 km all’arrivo. Ci fermiamo a cercare un’albergo

 

 

 

 

L’albergo ha un parcheggio per le moto nel retro… peccato che per arrivarci dobbiamo affrontare per la prima volta la neve. Nessun problema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco un ristorantino tipico… il mal di pancia del giorno dopo… è un’altra storia

 

 

 

 

 

Veduta dall’albergo la sera, prima che nevicasse

 

E la mattina seguente. Fortunatamente lo spazzaneve si è svegliato prima di noi…

 

La colazione

 

 

 

e la sorpresa. Lo spazzaneve non è arrivato a pulire davanti al nostro garage… ma la neve è fresca e non battuta. Passiamo indenni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo cartello indicante “Pasau” trae in inganno il navigatore e mentre gli altri riflettono io faccio qualche foto.

 

 

 

 

 

 

La strada è comunque giusta e il navigatore (st2)  procede. Mi prende freddo per fare le foto

 

 

Dopo 200 km dobbiamo fermarci. Stiamo congelando. Il tratto più freddo, siamo a -2 ma andando a 130 il termometro indica -8

Inizia il giro della magica boccia col southern confort

 

Siamo vicini e si cominciano ad incontrare altre moto… questi sono ben attrezzati, ma hanno così freddo che non si sono tolti neanche il casco

 

In questo fondamentale scatto mi si nota infilare abusivamente le mani nelle manopole riscaldate del gs

 

 

 

 

 

L’ultimo rifornimento prima di arrivare al campo

 

 

 

 

 

 

 

 

Parcheggiamo le moto e ci attrezziamo per trasportare la nostra roba. Ancora non c’e’ traccia di neve (per la strada)

 

 

 

A questo punto la mia fazer avrebbe proprio bisogno di una doccia di acqua dolce…

 

 

 

 

 

 

Riccardo, con le catene “no problem” da lui modificate entra nella fossa

 

 

 

 

 

Il campo è fatto, con un po di ritardo… si mangia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un austriaco di passaggio ci intrattiene un paio di ore. Noi gli diamo da mangiare e lui ci offre il suo rum da 80 gradi…

… servito con lo zucchero e con il vino… una specie di vin brulè senza spezie, e l rum buttato sul fuoco fa parecchi “flambè”

 i

 

 

 

 

 

Abbiamo trovato solo 1 balla di paglia e visto che gli altri hanno tutti le sdraiette me la becco io

 

Foto di rito per Riccardo (st2)

 

 

Andiamo a trovare le moto. Non nevica, ma il vento che muove la foresta da un’ifarinata ai nostri mezzi.

 

 

 

 

 

La mattina ci svegliamo e le tende sembrano degli igloo.

La nostra roba è tutta sommersa e far prendere il fuoco è impresa ardua, anche con mezzo pacco di diavolina e quando il fuoco è acceso iniziamo a scongelare il latte…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La moto di riccardo, l’unica nella fossa ha subito l’attacco del maltempo…

 

Partiamo per il tradizionale giro turistico della fossa ed immortaliamo le stranezze che il raduno ci offre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poi andiamo nuovamente a trovare le moto… l’infarinata è ora un impasto completo

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma a noi non interessa, (avevamo i teli per coprirle ma nella fretta ci siamo dimenticati di metterli…) e ricominciamo a mangiare

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel pomeriggio la bufera ci bagna parecchio e ci fa temere per il ritorno, ci tocca pulire le tende in più di un’occasione..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I nudi sono un classico… ma io non lo sapevo…

 

 

 

 

 

 

 

Anche sabato pomeriggio la bufera non ci lascia soli un attimo e ci organizziamo alla meglio per continuare l’esperienza….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In tarda serata andiamo a trovare le moto, per capire a cosa andremo incontro il gg successivo della partenza…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche per me e riccardo (gs) la foto di rito

 

 

 

 

 

 

 

Tarallucci per tutti. Sarà un giorno impegnativo e servirà energia

 

 

Mi faccio una foto su quella che è stata la mia alcova per 2 gg e poi aiuto a smontare il campo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mauro fa la spola con tutti i bagagli. il suo gs, con le catene, sembra inarrestabile,

ma dopo 4 volte che fa avanti e indietro dalla fossa alle nostre moto è a pezzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche riccardo parte con la sua moto, ma lo fa per uscire. Le sue catene non sono tecniche come quelle di Mauro, ma riesce ugualmente ad uscire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto di rito

 

 

Un saluto a Solla mentre attendiamo che i gs smontino le catene

 

 

Tra 10 km non riderò più tanto…

 

L’ultima foto, al benzinaio… con il malleolo fratturato…

 

No comment… ospedale di torrette, ancona…

 

 

 

L'organizzazione, grazie all'esperienza di Riccardo è stata perfetta, ecco quello che ci siamo portati.
Io avevo:

BAULETTO
Marsupio con chiavi e portafogli
Catene per gomma posteriore (imbustate)
Corda per gomma anteriore
Catene per scarpe
Pentola brulè (legata fuori)
Pentolino personale (legato fuori)
Telo per coprire moto quando parcheggiata
Olio motore
Guanti danese vecchi
Sottoguanti seta
Copristivali gomma
Bombola crc per ungere moto
Antipioggia (su zaino sopra)
Catena per legare moto (su zaino sopra)
Fast riparagomme
Zaino per giovedì sera in albergo
(jeans, t-shirt, felpa, asciugamano, saponetta, phon piccolo se lo trovo)

BORSA 1
Bicchieri plastica
Caffè sport
Grappa
Visner
Gran marnier x 2
Zucchero
Olio
Sale fino
Sacco a pelo

BORSA 2 (solo questa pesava più di 20 kg)
Carne (40 Salsicce, 4 pacchi di fettine già tagliate, 4 pacchi di fusi di ala di pollo)
Spezie miste con macinino
Cannella per brulè
Chiodi di garofano per brulè

ZAINO SELLA PASSEGGERO
Materassino
Sacco a pelo nuovo
Copertina in pile
Salopet
Moonboot
Calzetti e mutande ricambio
Sottotuta dainese (maglia e pantalone)
Cappello pelo e cappello burton
Torcia da testa
Torcia energizeer
Biscotti
Merendine dolci
Cioccolato kinder
Pentola brulè
Pentolino personale
Pentolino latte
Mestolo
Coltello personale (per “beccare” dal fuoco)
Pinze per carne

Nelle altre moto oltre alle cose personali c'erano:

2 Tende
3 lettini pieghevoli
2 latte di acqua da 10 litri
la griglia col treppiedi
moka, latte e caffè
6 filette di pane
teli vari (per trasporto legna e balle di paglia)
piccola stufa a gas c/bombole di ricambio
Cavi batteria
Bottiglie di acqua varie
Pala da neve smontabile
2 pacchi di diavolina
Vov
ponch al cioccolato